Bolgheri e la sfida di Fabrizio e Martina
Un luogo diventato in pochi anni capitale mondiale del vino, grazie a dei personaggi illuminati che hanno visto in questa terra storicamente votata all’agricoltura, il terroir ideale per vini potenti eppure eleganti che il mercato ha quindi battezzato come Super Tuscan. È a Bolgheri però che una coppia di giovani ragazzi, nell’ereditare il podere del nonno Arduino, hanno deciso di abbandonare la loro vita cosmopolita intorno al mondo e la carriera di atleti professionisti, per dedicarsi alla terra, all’agricoltura e all’accoglienza.
È così che si trova oggi il Podere Arduino, sulla Via Bolgherese sotto l’influenza del mar Tirreno e delle colline Toscane, quasi 10 ettari di terreno che sono sempre stati coltivati a ortaggi e alberi da frutto, inframmezzati da olivi che ancora campeggiano come colonne a testimoniare una Bolgheri pre-bolgherese.
Fabrizio Bartoli e Martina Morelli si sono rimboccati le maniche e hanno iniziato a studiare e rispolverare una tipologia di agricoltura rigenerativa, in cui la natura nasce, cresce e si rigenera, e ogni specie, varietà e animale contribuisce al benessere del podere. Dalla terra alla cucina, tutte le materie prime sono interamente coltivate e prodotte nel Podere, e trasformate nei piatti dell’Osteria Ancestrale grazie al fuoco, vero e proprio punto di forza.
Fabrizio, chef e fattore di Arduino Bolgheri, è un ex-triatleta professionista, un geologo, un amante della natura in tutte le sue forme, ed è il proprietario, Chef e “fattore” del Podere Arduino, nonché ricercatore seriale di sapori.
L’amore per il buon cibo lo accompagna da sempre, e per indole e per formazione, ha sempre studiato le varie cucine fondendole al retaggio di famiglia, e ha approfondito negli anni tecniche culinarie, in primis le fermentazioni che oggi sono grandi alleati del gusto dalla realizzazione del pane, ai formaggi, alla conservazione degli ortaggi e dei frutti. I maestri di questa cucina completamente autodidatta sono quelli che Fabrizio ha avuto la fortuna di frequentare e conoscere di persona, da Passard a Mallmann e Martinez. Le ispirazioni culinarie sono le più disparate, dal tanto amato Messico – Pujol e Hartwood in primis – fino alla cucina asiatica, in particolare vietnamita.
“Il territorio è fonte primaria d’ispirazione; le colline toscane che vedo ogni giorno dalla nostra azienda agricola, i vigneti che ci circondano; il mare dall’altra parte; la “macchia della Maremma”, il nostro bosco, dove vado a correre tutti i giorni. Ogni elemento della mia terra è nei piatti che creo. Gli ingredienti dei miei piatti si intrecciano in un equilibrio di elementi contrastanti: dolce e speziato, secco e fresco, acido e grasso.”
Un posto dove i frutti della terra incontrano il potere di un altro elemento naturale: quello del fuoco e delle sue infinite modalità di espressione.
Se i vegetali sono la materia, il fuoco è la forza che li trasforma in gusto.
“La mia griglia col tempo è cresciuta con me. Inizialmente era un fuoco dal quale attingevo per la brace, e un piano di ferro con due griglie mobili. Poi la “scoperta” della plancha: una lastra in ghisa dove poter cucinare gli ortaggi senza disperdere né il succo né i sapori. Le continue ricerche mi hanno progressivamente aperto un mondo tutto nuovo, fatto di realtà e personaggi che hanno definito profondamente la mia visione di cucina. Primo tra tutti Francis Mallman, e quindi il ristorante Hartwood di Tulum, Messico, dove il fuoco acquista un ruolo fondamentale nell’esaltare i sapori del luogo. È qui che la griglia si è espansa ulteriormente: un braciere ben più grande dove poter “sotterrare” gli ortaggi, per cuocerli sotto i carboni ardenti e ottenere consistenza e profumi unici; una struttura sopraelevata dove poter affumicare gli ortaggi, insaporirli prima della cottura sulla plancha, conferendo gli aromi del legno bruciato, con i profumi e le essenze dell’ulivo, del ciliegio, delle erbe aromatiche.” Racconta Fabrizio nel suo libro, “Dalla terra alla brace”.
Oggi il suo lavoro di ricerca culinaria continua negli orti della sua azienda e nei viaggi che ogni inverno intraprende a fianco di Martina, compagna di vita e general manager di Arduino. Laureata in Scienze Motorie, dopo una carriera da allenatrice di Ginnastica Artistica e ginnastica posturale, decide di lasciare l’allenamento per concentrarsi sul suo percorso personale. Dal 2011, lascia l’Italia e vive per lunghi periodi in paesi diversi, dall’Australia, alla Nuova Zelanda, fino al Sudafrica. Dai suoi lunghi viaggi, riporta a casa una miriade di esperienze lavorative in diversi settori e una maggiore consapevolezza, raccogliendo un’infinità di ispirazioni e idee. La sua visione totale dell’azienda la porta a curarne anche l’aspetto estetica. Al mattino si occupa di governare le capre, le pecore e gli animali, mentre in Osteria si occupa dello studio della mise en place, che è allineata allo stile architettonico del locale: forme semplici e materiali naturali, come le ceramiche, il gres, il legno e la pietra.
I piatti di Osteria Ancestrale
Con l’apertura da aprile a settembre, il menu è all’insegna della convivialità e del concetto green, per cui non è contemplato l’impiego di carni e pesci, e le uniche proteine animali utilizzate sono quelle delle uova e del latte vaccino, ovino e caprino, con cui si realizzano formaggi da degustare anche in purezza, oltre che intercalati nei piatti.
L’offerta ristorativa si articola in due menu degustazione che raccontano il mondo di Arduino e di questa parte di Toscana sul doppio asse spazio-temporale: Kipos, “Dello Spazio tra la Terra e il Piatto”, 4 portate a 60 euro, rappresenta il concetto di spazio, in una serie di ingredienti che sono misurati nei metri che li separano dall’orto alla tavola. Chronos, “Del tempo tra la Raccolta e il Piatto” 8 portate a 90 euro, invece è il menu più lungo in cui gli ingredienti si misurano nel tempo che intercorre dal momento del raccolto fino ad arrivare in tavola.
Entrambi i percorsi iniziano con la degustazione dei Micrortaggi raccolti pochi momenti prima del servizio, da gustare crudi o in pinzimonio con l’olio evo monovarietale moraiolo del Podere, che ricorda molto il gesto iniziale del Blue Hill di Dan Barber: un’introduzione ai sapori dell’orto, la dimostrazione concreta dei frutti di un’agricoltura rigenerativa basata sul rispetto dell’ecosistema, in cui il minimo intervento dell’uomo è volto a garantire la fertilità del terreno, attraverso pratiche di diversificazione delle colture, riduzione dell’impatto meccanico sul suolo e altre pratiche naturali.
E tra i piatti più rappresentativi dell’inizio estate si possono incontrare Fiori, l’esordio di Chronos, una portata che viene raccolta un’ora prima del servizio. Si tratta di un cofanetto ricco di petali di fiori eduli, in omaggio a un’usanza indonesiana – da cui arriva anche la scatola di vimini – per cui al mattino si raccolgono petali che vengono racchiusi in un’offerta propiziatoria agli dei. Anche ad Arduino si raccolgono a mano, e anche a tavola sono da prendere con le dita e intingere nel condimento di maionese di capperi.
I piatti possono cambiare da una settimana all’altra, in funzione di cosa può offrire l’orto in base al meteo, ma tra i classici si può annoverare lo spaghetto al pomodoro che viene impiattato al tavolo da Fabrizio in un gesto quasi materno e tutto nostro, realizzato con 15 varietà colte al mattino, affumicate in frasca d’olivo per tre ore, il tempo di assorbire il fumo e cuocersi. La salsa si ottiene solo aggiungendo olio evo moraiolo, e al momento della cottura dello spaghetto, si completa insieme a pomodorini marinati e infornati, erbe (tre tipi di basilico) e origano. Note di affumicato e balsamico, legati da una generosa spolverata di pecorino della casa, a base di capra e pecora, stagionato in foglie di fico, grattugiato al momento ad accentuare la freschezza della salsa, con rifinitura finale di una foglia di limetta.
Anche il pane che accompagna il pasto è preparato da Fabrizio, grande appassionato di panificazione, a partire da farine autoprodotte di varietà gentilrosso, lievito madre, lievitazione naturale e cottura in forno a legna. Accanto al pane prodotto con il grano coltivato e macinato in casa, e cotto nel nostro forno a legna con brace d’olivo, arriva anche il pane trapper, al posto dei soliti grissini, ovvero un impasto senza lievito di acqua e farina, anche detto pane trapper, il pane degli antichi esploratori riuniti attorno al fuoco, uno dei simboli della vita all’aria aperta in cui si hanno poche attrezzature e zero tecnologia per cucinare i cibi, condito con olio, spezie, semi e salsa BBQ a base di frutta.
Rose, in Kipos è il dessert finale, ovvero la Torta di Rose, insieme allo zabaione preparato espresso con le uova del Podere, un dolce goloso da condividere al centro della tavola, e da spezzare con le mani. È il simbolo della convivialità, dello stare insieme e dell’essere partecipi di una stessa emozione.
Fotografie di Lido Vannucchi