L’Elogio del Savarin

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    “Difficile, delicata e magica, quindi rara e preziosa, è l’arte della cucina. Un’arte capace d’arrivare al cuore, quando interpreta l’anima dei luoghi, risveglia il ricordo del passato facendolo divenire presente, comprendendo lo spirito di una società, indirizzandola quando è in cambiamento.

    Come il vento che sembra spirare dove vuole, ma ha sempre origini lontane e si adegua a ogni territorio, dalle cime più alte alle valli più profonde, l’arte della cucina può giungere nel più intimo dell’inconscio umano per arrivare alle altezze del sublime.

    L’arte della cucina si apparta dal fragore dei sapori, dal vano sfavillìo dei colori dei cibi, dalla confusione dei menu, che vogliono solo stupire per ingannare la mancanza di una sempre più rara sensibilità del gusto. Un’arte che non è prerogativa solo dei cuochi, quanto dei sempre più rari, veri gastronomi e uno di questi è stato Giuseppe Cantarelli, meglio noto come Peppino, anche e soprattutto nella coppia che faceva con la moglie Mirella.

    Come gli uomini d’arte del Rinascimento italiano, essi hanno operato nella loro trattoria, trasformandola in una bottega d’arte gastronomica e officina di una cultura della tavola che sembravano potessero scomparire.

    La sua officina di arte e cultura della tavola trovò riferimento nelle stesse persone che lavoravano in altre cucine parmigiane, quelle della letteratura, del giornalismo, della pittura e della scultura. Officine diverse, ma anche tra loro curiosamente e magicamente relazionate, sorte in uno straordinario momento del tutto particolare di un’Italia dove, anche nell’alimentazione, secolari se non millenarie radici tradizionali si stavano sfaldando, di fronte all’invasione di un consumismo senza cultura.”

    (G. Ballarini, “Giuseppe e Mirella Cantarelli artisti della cucina perenne”, in A. Salarelli, “I Cantarelli. Storia e mito della cucina italiana”)

    Mirella Cantarelli

    È con questa piccola testimonianza di un testo – che racconta 30 anni di grande cultura gastronomica italiana, costruita dagli straordinari Cantarelli, di cui quest’anno ricorrono i 70 anni dall’apertura – che vogliamo inaugurare questo nuovo spazio di visione e condivisione con voi.

    L’Elogio del Savarin prende vita oggi, nell’intento di raccontare il nuovo, registrando i movimenti del pensiero gastronomico che esonda dai suoi confini più ristretti per farsi flusso di idee e di cultura. Ma non vi potrebbe essere il nuovo senza il nesso con il già, un già che è il prima, quel prima che ci precede e che si afferma o che si smentisce, sempre in dialogo critico e analitico ma comunque costruttivo.

    Daremo voce ai grandi fautori del già e del nuovo, percorreremo insieme chilometri in cerca del gusto, senza limitarci alla percezione sensoriale ma affondando nelle pieghe della creatività, tracciando percorsi che intersecano cucina, design, arte, fotografia, letteratura, filosofia, antropologia.

    Sarà un grande contenitore, polifonico e composito, con la memoria dissepolta che si dichiara sin nel nostro nome, il Savarin, uno dei piatti simbolo della rinascita della cultura novecentesca, che ha lanciato un gusto facendosi rivoluzione e proiettandosi nel futuro.

    Benvenuti su L’Elogio del Savarin.

    Il Savarin di Erbaluigia in omaggio a Mirella Cantarelli (foto: Lido Vannucchi)

    Testo di

    di Lido Vannucchi

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