L’Osteria del Mirasole è stata aperta nel 1989 a S. Giovanni in Persiceto, alle porte di Bologna, da un giovane ventiduenne, Franco Cimini, che aveva il sogno di aprire un ristorante proprio, dopo anni di gavetta in cucina. il suo sogno era quello di gestire un’osteria come quella che sorgeva a pochi metri dall’attuale Mirasole, che fino alla grande guerra era stata gestita da una signora che aveva 9 figli: Franco era – ed è ancora – un romantico, appassionato di storia e di storie e desiderava un luogo dove poter fare una cucina semplice, diretta. Con il tempo, l’osteria cresce in fama. Nonostante le dimensioni raccolte, diventa un punto di pellegrinaggio per chi cerca l’Emilia vera, quella delle chiacchiere fitte, del vino rosso versato a generose caraffe e di un ragù che sa di casa. Sopra al ristorante, Franco ha anche dato vita a una locanda: poche camere in legno, accessibili da una scala elicoidale cinquecentesca, per chi vuole prolungare il viaggio e dormire immerso nell’atmosfera del Mirasole. L’esempio paterno, la disciplina sul lavoro, lo hanno fatto crescere in fretta, instillandogli il desiderio di emanciparsi e farsi artefice di un gusto, tornando nell’alveo accogliente dell’infanzia, quella vissuta a metà tra Abruzzo ed Emilia – ed è questa crasi che detta il ritmo del gusto del Mirasole: il recupero del fuoco, della legna che arde e che imprime il gusto alle carni, di abruzzese memoria, e i punti cardinali dell’emilianità, la pasta fresca, le carni, il latte e il suo derivato principe, il parmigiano.



Anno dopo anno, piatto dopo piatto, l’osteria si trasforma in un simbolo. Ma chi conosce il Mirasole sa che la sua vera forza non sta nei premi: sta nel fuoco del camino, nei profumi che escono dalla cucina e nel calore dell’accoglienza di un gruppo che è famiglia: Franco, Anna e Riccardo.
La cucina di Franco segue la filosofia di racconto di un territorio, grazie all’alleanza con l’azienda agricola Caretti, della famiglia della sua compagna Anna, a disegnare la tradizione emiliana pura e schietta, interpretata con rispetto e con un pizzico di coraggio. Gli ormai celebri Tortellini alla panna d’affioramento sono capofila di una schiera di piatti che hanno per fulcro la stagionalità e la brace, con venature fedeli alla tradizione di lasagne, tagliatelle al ragù di cortile con uovo embrionale, cotoletta alla bolognese, ed echi abruzzesi nella coratella cacio e ova, o l’abbacchio. Ma è di abruzzese memoria anche il suo amore per la pasta secca che non sfigura mai accanto alle paste fresche.


E così, in nome della stagionalità e microstagionalità di inizio autunno, Franco unisce i sapori emiliani di stalle e orti sotto l’egida di una linguina Al Bronzo Barilla, che ben aggancia l’intingolo. Il cipollotto fresco viene cotto intero, i primi broccoletti vengono cotti e i gambi frullati a formare una crema che fa da base al tubero, al guanciale saltato in padella e agli ultimi pomodori della stagione appena scottati. Tutte cotture espresse per un piatto che profuma di orto, delle ultime propaggini di un autunno che si invena nell’estate dell’incontro tra due regioni che per Franco sono un sentimento, Emilia e Abruzzo, coronato con unan spolverata di pecorino, a dare il perfetto equilibro a irresistibili forchettate.
