Nel cuore di Bergamo Alta, nel dedalo di strade medievali, c’è un luogo che non è soltanto un ristorante, ma un frammento di memoria collettiva.
Per i bergamaschi è semplicemente “Mimmo”, un’istituzione dove la pizza arrivò prima della moda e il cibo ha sempre significato inclusione e accoglienza.
La storia comincia nel 1956, quando Mimmo Amaddeo e sua moglie Lina Scopelliti lasciano la Calabria con una valigia di speranze. Dopo un passaggio a Milano, arrivano in Città Alta e aprono un piccolo locale: in una Bergamo che ancora non conosceva la pizza, la loro diventa un rito destinato a cambiare l’immaginario gastronomico cittadino. La sede definitiva trova casa nello storico palazzo trecentesco noto come “La Casazza”, un tempo sede del servizio postale veneziano. Sale antiche, cortile interno, terrazza: un luogo che parlava già di sé, e che con i due coniugi ha iniziato a raccontare una nuova storia.

Mimmo e Lina avevano un principio semplice, quasi rivoluzionario: nessuno doveva uscire affamato.
Chi non poteva pagare rimandava, barattava, offriva un quadro o una promessa. Non era carità, era dignità: accanto alla pizza servivano opportunità, un lavoro, una seconda chance.

Negli anni, il locale si è ampliato e i figli — oggi Massimo e Roberto — ne guidano l’evoluzione in una rete di spazi gastronomici. Ma lo spirito è rimasto intatto.
Oggi Da Mimmo e Lina intreccia storia e cibo, tradizione della pizza, cucina che unisce echi delle origini meridionali con il gusto lombardo, ingredienti sostenibili, adesione all’Alleanza Slow Food.

Tra i piatti simbolo che raccontano lo spirito del luogo e la storia della famiglia, spicca la Scarpara, salsa che veste lo Spaghetto Barilla Al Bronzo. Il nome custodisce un aneddoto che solo la cucina sa tramandare: richiama le mogli dei ciabattini, che spesso venivano pagate in natura. In cambio delle scarpe riparate ricevevano pomodori, verdure e prodotti dei campi — ed è da quel baratto di vita quotidiana che nasce la ricetta.
Il pomodoro, ancora con il suo gambo e le foglie, viene prima infornato, poi frullato e trasformato in salsa, profumata con origano. A completare il condimento, una fonduta di pecorino, per una preparazione rimasta sostanzialmente immutata dal 1956. L’unica evoluzione è l’aggiunta più recente della ’nduja, che introduce una nota piccante e aromatica capace di intensificare il gusto, firmarlo e renderlo profondamente identitario.

Settant’anni dopo, Mimmo continua a essere parte della geografia emotiva di Bergamo Alta: un ristorante, ma anche un luogo che racconta integrazione, resilienza e comunità.