Grow Restaurant

    fotografo Lido Vannucchi

    Via S. Valerio, 4 20847 Albiate MB tel. +39 0362 13 60 111

    Lo Chef

    Un consiglio

    In pieno centro del paese di Albiate, in provincia di Monza, in un caratteristico palazzo storico, a pochi passi dalla cattedrale di origini medievali, il 9 giugno 2020 è stato aperto il ristorante Grow, un’apertura prevista già per dicembre 2019 ma che si è procrastinata anche a causa della pandemia da Covid 19. I fautori e gestori sono i due fratelli Matteo e Riccardo Vergine, rispettivamente di 26 e 30 anni, l’uno cuoco, l’altro maître e sommelier. Al piano terra di un edificio dalla tipica architettura lombarda coi portici, il ristorante si caratterizza per un arredamento dai toni minimali, con pareti dai colori che cangiano dal grigio al carta da zucchero intervallate da ampie vetrate e dettagli di arredo che lo rendono confortevole. I tavoli sono stati creati appositamente per la sala da un artigiano toscano scelto per il suo impiego di materiali naturali come il legno d’olivo e lo stagno. Il suo modo di riempire le fessure del legno come nell’arte del kintsuji orientale fa sì che i tavoli, uniti tutti insieme, disegnino un intreccio di vene e linee come corsi d’acqua. Ogni tavolo è parte di un mosaico che rappresenta la terra brianzola, e il tavolo di accoglienza all’ingresso del ristorante rappresenta il corpo di una Venere.

    La filosofia di cucina
    “La nostra cucina cerca di essere l’espressione del luogo in cui ci troviamo” dichiarano in coro i due fratelli Matteo e Riccardo. Un luogo, la Brianza, dalla storica vocazione rurale e che oggi, pur trovandosi alle porte di una delle città più cosmopolite del mondo, Milano, sta riscoprendo valori sepolti sotto la polvere di un progresso che le ha permesso di essere fortemente industrializzata, ma in cui fioriscono sacche di resistenza agricola. È un potenziale enorme che questi due ragazzi così giovani, nel loro piccolo, hanno iniziato a riscoprire e che con Grow vogliono portare nel futuro. Il concept ristorativo è già dichiarato nel nome: grow in inglese significa crescere, e non è solo un desiderio di crescita personale, ma è crescita di un luogo, di un’idea. La crescita della natura che favorisce la crescita dell’uomo, in un circuito virtuoso e reciprocamente rispettoso.
    E le idee crescono, perché nella riscoperta di valori trasmessi dagli avi, si innesca una loro attualizzazione nel qui e ora. Dalla coltivazione della terra praticata dai nonni contadini, Matteo e Riccardo hanno ricevuto il valore del rispetto per le stagioni e i loro frutti, hanno studiato le tecniche di coltivazione e della conservazione degli ortaggi, e hanno fuso tutto questo con la tradizione culinaria lombarda serbandone la memoria gustativa, ma spostandola su un piano contemporaneo, secondo lo zeitgeist che caratterizza l’epoca attuale.
    Il concetto di cucina si potrebbe pertanto definire agricolo, ma è anche determinato dal fattore tempo, perché questo è certamente un ingrediente cruciale nel dare concretezza al gusto di Grow.


    Oltre al concetto agricolo, per i due fratelli è essenziale essere sostenibili anche sul piano ambientale, al punto che l’energia elettrica proviene da fonti rinnovabili, mentre è stato eliminato il gas, in favore del ritorno al fuoco, quindi brace e cotture antiche, così come sono stati eliminati completamente i contenitori di plastica.
    In questo anno si è sempre più venuto approfondendo lo studio sulle cotture, tutte incentrate sul fuoco, poiché i ragazzi hanno scelto per etica di eliminare il gas metano lavorando con solo 2 piastre a induzione e l’utilizzo della brace per cotture dirette e indirette. La riscoperta della brace li ha indirizzato verso la ricerca sulla cucina trapper, che storicamente deriva dai trappeur, gli esploratori nordamericani che tra il Sette e l’Ottocento viaggiavano in terre sconosciute e non avendo con sé utensili da cucina, cucinavano quello che si procuravano in natura, cuocendo sul fuoco. Una cucina semplice ed essenziale, naturale, quella che oggi si potrebbe definire ancestrale, e che appare anche sulla tavola di Grow.
    Prodotti dell’orto, pesce di lago frollato, selvaggina e cacciagione sono i cardini di riconoscibilità del gusto di Grow, all’insegna di una cucina di matrice lombarda che forgia il sapore contemporaneo, alla ricerca di salubrità, leggerezza e veridicità.

    Il loro racconto sulla caccia trova sintesi nel gusto con l’Insalata al censimento. Durante il periodo di fermo caccia, c’è la fase importantissima del censimento, svolto da personale esperto per conteggiare il più accuratamente possibile il numero di animali di una determinata popolazione e di una zona specifica. Si censiscono anche le piante, in verità, che sono poi anche l’habitat e il nutrimento degli animali, e servono per poter fare previsioni per la stagione successiva di caccia. In questo piatto, erbe selvatiche, crema di noci, olio al ginepro, bevanda di limone affumicato e zenzero a evocare l’odore della polvere da sparo, sono il racconto di questo momento specifico dell’anno.

    Tra i primi si aggiunge comfort al pensiero sulla selvaggina. Un ragù realizzato con un misto di vari animali selvatici con frollature diverse e che vengono assemblati in varie fasi di stagionatura, a formare una sorta di cuvée che poi vengono cotti tutti insieme, come un ragù classico. La pasta è realizzata con farina di mais, emblema dell’antico mangiare lombardo, cui abbiamo si vuol dare un nuovo volto e una nuova dignità.

    Carni del Bosco è un piatto in cui appare la coscia di capriolo frollata 60 giorni e cotta su brace. Poiché la selvaggina è una carne tenace con pochissimo grasso, viene integrato con una laccatura di grasso di violino di capra fatto in casa grazie agli insegnamenti dei norcini della Valchiavenna, e prugne selvatiche in conserva da un anno e mezzo.

    È usanza brianzola e milanese che l’avanzo del riso allo zafferano sia passato in padella il giorno dopo in modo che formi una crosticina croccante e condito con il ragù. Nel menu Venus e in Growing questa usanza e questa consistenza vengono trasfigurate nel koji di riso con una maionese allo zafferano, la bresaola di petto d’anatra e il suo fondo come metonimia del ragù. Quasi da mangiare con le mani.

    La sala
    Così come in cucina Matteo è il solista dei fornelli, così anche in sala Riccardo è colui che da solo si occupa della gestione degli ospiti, forte di esperienze precedenti come barman e come cameriere in vari ristoranti di Brescia e Milano (tra cui Bulgari).
    Oltre a occuparsi delle fermentazioni e delle kombucha insieme al fratello, da abbinare a completamento di alcuni piatti, Riccardo si appassiona nel cercare il giusto corrispettivo sconfinando con originalità tra gli spirits e persino tra bevande analcoliche, per gli ospiti più esigenti, accanto alla costruzione di una carta di vini che seguono la stessa filosofia della cucina, e per cui al momento sono state selezionate circa 100 etichette di produttori esclusivamente italiani e naturali.

    Parole di Sara Favilla
    Fotografie di Lido Vannucchi

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