La condivisione secondo l’osteria Erbaluigia. La pastasciutta pecora e pecorino

    fotografo Lido Vannucchi

    Promosso da Barilla

    Lo Chef

    Un consiglio

    A Pisa dal 2020 l’osteria Erbaluigia è uno dei fari della buona cucina toscana, quella che insegue la verità del gusto col desiderio di sganciarsi da ogni stereotipo modaiolo o turistico. Il merito è di Tatiana Porciani e Fabio Ponzanelli, lei cuoca lui oste, che nel desiderio di avere un ristorante tutto per sé, si sono interrogati sul concetto di osteria e sull’importanza di tenere vive quelle storie che più ci rappresentano, quelle che hanno contribuito maggiormente a definire nel corso dei decenni – e dei secoli – la nostra cultura, che ha sempre come sostrato il fattore cibo, sia in tempi di abbondanza che di penuria.

    Ecco che hanno intrapreso un percorso a ritroso nella storia, da quella ufficiale riportata sui libri, sui ricettari, fino a ricercare anche quei sapori più intimi che si annidano tra le ricette di casa, più dimesse ma mai dimenticate. E sono giunti alla conclusione che l’osteria è, oggi come ieri, uno dei luoghi in cui l’intreccio delle persone è anche intersezione di cultura e gusto, forse meno altisonante, ma vera e viscerale. Sono partiti dall’Artusi, poi la loro curiosità li ha spinti dal Medioevo al Seicento, studiando fonti originali. La cucina mediterranea è un tutt’uno, nasce da quella romana e si sviluppa di pari passo con le entità politiche e gli stati nazionali, differenziandosi sempre più. Ma l’ispirazione arriva per lo più dalla cucina popolare, anziché dalle ricette di corte.

       

      

    E poiché la pasta secca è uno dei capisaldi del nostro gusto e del nostro modo di stare a tavola, è sorto il desiderio di dedicarle un piatto che celebrasse anche il senso della condivisione, traslandolo dalla tavola di casa a quello del ristorante, con la stessa gestualità e intimità.
    Viste le origini di Tatiana, quella campagna pistoiese in cui raccoglie le erbe spontanee nell’oliveto di famiglia, e ne raccoglie parimenti anche le memorie culinarie, è nata l’ispirazione per questo piatto pensando alla pastorizia e alle abitudini dei pastori di portare il cibo con sé. Gli ingredienti sono venuti d conseguenza, tutto quello che ruota attorno alla pecora, dalle erbe spontanee di cui si nutre, all’animale intero, interiora incluse.
    L’idea è quella di partire da una pasta in bianco, i Mezzi Rigatoni Al Bronzo Barilla cotti in brodo di verdure e agnello, quindi conditi solo con qualche goccia di grappa, pecorino del Poggione ed erbe selvatiche che richiamano il sentore della grappa. In tavola arriva in una zuppiera coperta e due satelliti, un ragù di coscia di pecora passata su brace e arricchita di erbe aromatiche come nepitella, cerfoglio, maggiorana; e dall’altra parte un ragù bianco di interiora di pecora, a completare il gusto che il commensale costruisce a proprio piacimento. Un viaggio intorno alla pecora, con la pasta al centro.


    La sfida più bella è stata quella di cercare maggiore contatto con il cliente, oltre il fornello, per poter far sentire le persone a proprio agio, come a casa, e farsi protagonisti della costruzione del gusto. La pasta che può essere assaporata in purezza, e che può intingersi ora nell’uno ora nell’altro ragù, a scoprire combinazioni sempre diverse. Come fare scarpetta, con la pasta, giocando, ritrovando il gusto della cucina più vera e nostra.

     

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