Fine auscultatore delle tradizioni, Cristiano Tomei cresce in una famiglia appassionata di buona cucina e convivialità, sulle colline camaioresi che guardano insieme mare e montagna. È un doppio orizzonte che lo segna per sempre: il libeccio e la tramontana che s’incontrano diventano metafora di una cucina capace di tenere in equilibrio opposti, memoria e istinto, bosco e mare.

«Sono oriundo, ricevo continuamente influenze», racconta. «Raccolgo ricordi dell’infanzia, di mia nonna, dei viaggi. Tutto ciò che mi permea diventa spunto per far da mangiare».
Tomei si definisce cuoco, non chef, rivendicando la dimensione quotidiana del cucinare. Ogni mattina torna nei boschi di Migliano o nella pineta di Viareggio, nei luoghi della sua formazione sensoriale, per raccogliere erbe spontanee: un gesto che non è folclore, ma necessità creativa, radice imprescindibile del suo pensiero gastronomico.
Il suo approccio è ludico, istintivo, simile — come dice lui — al gioco del corteggiamento: un misto di emozione, adrenalina e curiosità reciproca. «Sono fortunato: non sono solo un cuoco, ma anche un ristoratore. Accolgo le persone nel loro momento migliore, quando vengono a rilassarsi. È lì che condivido con loro un’idea, un’emozione, un’alchimia».
Con il trasferimento de L’Imbuto a Vigna Ilaria, luogo storico immerso nel paesaggio lucchese, Tomei ha trovato un nuovo equilibrio tra la sua cucina libera e le memorie familiari, tra tradizione codificata e slanci selvatici. Vivere in campagna lo ha spinto a coltivare l’orto e a intensificare la raccolta spontanea: oggi la sua filosofia è sempre più orientata al wild, al non addomesticato, al pescato e al raccolto. Non a caso ama ripetere: «Il demanio è il mio supermercato quotidiano».

In questa visione, la pasta secca ha un ruolo centrale: uno degli amori più longevi di Tomei, che tratta con libertà assoluta, arrivando a stracuocerla per ottenere impasti da plasmare come fossero pasta fresca, o creme con cui condire la pasta stessa.
Con lo Spaghetto Al Bronzo Barilla, lo chef ha riportato in auge un piatto ideato oltre dieci anni fa, dedicato a una delle sue erbe selvatiche più identitarie: l’elicriso, che cresce sulle dune della Versilia. Il suo profumo balsamico e resinoso incarna l’immaginario della macchia mediterranea e diventa elemento narrativo centrale: un aroma netto, incisivo, capace di definire l’intero piatto.
Lo spaghetto, volutamente essenziale, è il veicolo perfetto per sostenerne il carattere.

Il risultato è un piatto che sintetizza la filosofia di Tomei: pulizia formale, identità territoriale, gusto diretto.
Lo chef lo interpreta come un vero e proprio pesto: «Se il basilico è l’elemento caratterizzante della Liguria, l’elicriso lo è della Versilia». Da qui una salsa con pinoli — omaggio alla pineta viareggina — succo di limone e parmigiano, che attenuano le note amaricanti in chiave umami e freschezza, valorizzando al contempo la componente resinosa dell’erba.
Lo Spaghetto all’Elicriso è dunque più di un piatto: è un manifesto.
Racconta il desiderio di Tomei di portare la cucina all’essenza, lavorando su sapori netti, talvolta spiazzanti, sempre riconoscibili. Una scelta di autenticità — spesso controcorrente — che ha contribuito a definire in modo univoco la sua identità gastronomica nel panorama italiano.
