Paolo Trippini, quando la pasta racconta storie d’Umbria

    fotografo Lido Vannucchi

    Promosso da Barilla

    Via Italia, 14 05023 Civitella del Lago (TR)

    Lo Chef

    Un consiglio

    A Civitella del Lago, piccolo borgo affacciato sul bacino di Corbara, c’è un ristorante che da sessant’anni porta avanti un’idea semplice: cucinare il territorio senza farne folclore. Si chiama Trippini, e oggi è una delle insegne più solide dell’Umbria gastronomica.

    La storia comincia negli anni Sessanta, quando Giuseppe Trippini apre una trattoria di paese dal nome schietto: “Da Peppe se pappa”. Cibo genuino, vino locale, e un’idea di accoglienza che nasce più dal senso di comunità che dall’ambizione. Negli anni Ottanta arriva il figlio Adolfo, che trasforma la trattoria in un ristorante vero e proprio, puntando su materie prime locali e una cucina più curata.

    Il locale, affacciato sulle colline che guardano Orvieto, ha linee essenziali e ampie vetrate che incorniciano il paesaggio. L’atmosfera è raccolta, il servizio misurato, la carta dei vini costruita con attenzione. È una cucina che non cerca effetti, ma equilibrio.

    Giunto oggi alla terza generazione, a guidarlo c’è Paolo Trippini, classe 1979, che qui è rimasto, a raccogliere l’eredità di nonno Giuseppe. Ma la sua storia non è quella di un ritorno alle origini: è il racconto di una costruzione progressiva, passo dopo passo, di una cucina che oggi rappresenta uno dei volti più solidi e coerenti dell’Umbria gastronomica. Dopo il diploma all’alberghiero di Spoleto, Trippini lascia casa per formarsi in alcune delle cucine più esigenti d’Italia. Passa accanto a Gianfranco Vissani, nella vicina Baschi, poi si sposta in Toscana da Gaetano Trovato a Colle Val d’Elsa, e infine approda anche all’estero, in Germania, dove lavora a Berlino con Enrico Bartolini. Sono anni di disciplina, di rigore tecnico e di apertura mentale. Quando nel 2006 torna a Civitella per prendere in mano il ristorante, la sfida è chiara: tenere fede alla tradizione senza farsi imprigionare da essa.

    La cucina di Paolo Trippini parte dal territorio, ma non si ferma alla cartolina. È fatta di ingredienti umbri autentici — tartufo, legumi, cacciagione, erbe spontanee — trattati con mano leggera, equilibrio e precisione. C’è un rispetto quasi istintivo per il prodotto, ma anche una ricerca costante di pulizia gustativa e modernità tecnica. Nei suoi piatti la memoria contadina si intreccia con la lucidità di uno chef che conosce la grande cucina europea: niente eccessi, nessun effetto, solo sostanza e identità.

    Emblematica in questo senso è la sua interpretazione dello Spaghetto quadrato Barilla al Bronzo con stracotto di maiale, amarena e caprino umbro. Un piatto che nasce da una tradizione antica — quella di cuocere il maiale brado con la birra — e che Paolo rilegge con intelligenza e misura.
    Il risultato è un equilibrio di contrasti dolce-amaro, dove l’amarena e la lieve acidità del caprino alleggeriscono la ricchezza della carne, regalando al palato una piacevolezza moderna e una succulenza piena ma mai pesante. È un piatto che racconta il territorio senza imitarlo, e che allo stesso tempo ne traduce l’essenza in chiave contemporanea.

    C’è anche un rimando poetico, ma concreto: il ciliegio che cresce accanto al ristorante, nello spazio dove un tempo sorgeva l’orto di suo padre. È un dettaglio che chiude il cerchio — “qui si mangia ciò che si vede”, dice spesso Trippini — e che trasforma il piatto in un piccolo paesaggio commestibile, coerente con la vista che si apre dalle vetrate sul lago di Corbara.
    È un omaggio alla cucina borghese italiana, alla sua eleganza istintiva, ma anche a quella cultura gastronomica che Barilla ha saputo custodire e reinterpretare nel tempo, con un tocco che rimanda alle tavole rinascimentali dove la frutta dolce accompagnava la carne: un gesto di memoria che diventa contemporaneità.

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