Il rumore bianco è un fenomeno che contiene e riassume tutte le frequenze dello spettro del suono udibile, in egual misura e spesso viene paragonato all’elettricità statica che proviene da una radio o una televisione non sintonizzate. In breve, il rumore bianco è uno spettro di mascheramento che mira a coprire i suoni indesiderati provenienti dall’ambiente o dagli spazi interni, e ascoltarlo sembra possa avere la capacità distensiva di rilassare, aumentare la concentrazione e favorire il sonno.
Il rumore bianco potrebbe dirsi la sinestesia di Uliassi, il ristorante di Senigallia che si staglia bianco e placido sulle rive del mare e sull’orizzonte più felice della ristorazione italiana. Un luogo di luce e armonia, nell’architettura lineare in cui si intrecciano le varie frequenze dell’estetica made in Italy, e che si riflettono perfettamente nella costruzione del menu più atteso dell’anno, il Lab che arriva puntuale con l’arrivo della primavera. Quest’anno giunto alla sua ventitreesima “edizione”, il menu degustazione è venuto nel tempo configurandosi come punto di riferimento dell’alta ristorazione italiana, atteso come si può attendere l’uscita di una collezione di alta moda o l’album di un importante musicista e la sua band, o il film di un maestro del cinema. L’emozione che se ne trae di volta in volta è che “il Lab di oggi è il migliore di sempre”, e da ventitré anni stampa e critica decretano una crescita progressiva e costante, che ha la capacità di superarsi rispetto all’anno precedente saldando la riconoscibilità e la firma di Uliassi e la sua consolidatissima band.
Rumore bianco, dicevamo, come sintesi armonica o comunque piacevolmente straniante di tutte le frequenze, e noi azzardiamo di traslare il concetto di rumore bianco dall’udito al gusto, rinvenendo nella sequenza delle 11 portate non il sovrapporsi di vari sapori, ma un incastro che dona benessere e una sorpresa che non squassa ma diverte. Nell’inanellare i piatti e le varie frequenze ora di derivazione classica, ora più orientale, ora regionale, ogni Lab si pone in dialogo e continuità con quello dell’anno prima, per cui ricompaiono fraseggi a formare rime concatenate che confermano e rinnovano lo stile di Uliassi, amplificandolo nel presente e suggerendo possibili preludi di futuro.
I piatti di Mauro Uliassi
L’esordio è l’aperitivo d Kyr royal servito nella flûte cui ormai Uliassi ci ha abituati da tempo, traslando la dimensione del bar dentro il ristorante, grazie allo storico bocconcino che lo accompagna, il Loaker di fegato grasso che viene dato direttamente in mano e non più nel piattino, dal 2006 ininterrottamente. Un divertissement consolidato che intreccia memoria pop e infantile, vera cifra della leggerezza uliassiana.
Una cucina che per dirla con la lezione di Calvino è sottrazione di peso, è cercare “la narrazione d’un ragionamento o d’un processo psicologico in cui agiscono elementi sottili e impercettibili, o qualunque descrizione che comporti un alto grado d’astrazione” come accade nella trasfigurazione dell’inzimino con Seppie Scottate, Olio di Guanciale, Bietola, Miele e Colatura di Alici, con la seppia scottata e lievemente nappata con olio di guanciale, in petali che si alternano alle foglie di bieta, in un gioco di consistenze e masticazione importante che veicola il gusto in profondità, spostando l’asse dal mare alla terra e all’umidità del grasso di prosciutto. Un piatto di pesce che non vuole essere pesce, ma farsi campagna.
Una certezza che torna anche nel 2023 è il Riccio ghiacciato stavolta abbinato ai semi di fico. La variazione attuale sul tema del freddo non è meno complessa gustativamente, con il salmastro che prende vita a contatto con la bocca alternandosi alle note dolci e balsamiche del fico. Un piatto straordinariamente persistente, in cui le note fruttate non abbandonano lo iodio, anzi, continuano a echeggiare e riverberare come un effetto Larsen.
“Nuove certezze, nuova consapevolezza che ogni anno si consolida. Non siamo condizionati da un pensiero, ma dalla consapevolezza di ognuno di noi”, è così che chef Uliassi accompagna il successivo “Macchia Adriatica” a base di funghi cardoncelli, frutti di bosco, luppolo, pinolo. Un piatto straordinario nel vegetale che vira nello spettro aromatico fino a raggiungere le profondità dell’amaro conquistato con eleganza grazie all’amicizia con Pier Giorgio Parini, che lo chef omaggia da svariate edizioni. È uno scandaglio sensoriale che attraverso studio e pratica connette tutti i sensi, persino l’udito, con la masticazione sempre importante che trasmette come una cassa di risonanza il rumore del gusto, che a ben vedere è l’ultimo aspetto a essere chiamato in causa, dopo vista, olfatto, tatto e udito.
Insalata di Ostrica, Pesto di Rucola, Rucola, Limone, Borragine è un piatto che nasce lo scorso anno, stavolta con la rucola grigliata che è la spina dorsale del piatto con le note verdi che scuriscono verso l’amaro. Un Lab 23 che progressivamente si impone per l’incisività del vegetale che è il vero fine del gusto, laddove la parte proteica di carni e pesci è veicolo, mezzo di masticazione meccanico in complicità con gli altri ingredienti, ma mai dominante. È il caso anche di Lumache, Peperone Friggitello, Origano, Erbe Soffiate, in cui erbe e ortaggi sono l’habitat protagonista della lumaca, a dare note di gusto solari, di grande eleganza ed equilibrio mediterraneo.
Un piatto che gioca sulle sensazioni olfattive è l’Anguilla e Albicocca che si aggancia al Lab 22, con il morso coriaceo che amplifica l’affumicatura per poi alla fine aprirsi sulle note acri e piccanti del rafano che si insinua nella retronasale a generare un solletico rinfrescante.
Le nuove sfumature che si affacciano nel Lab 23 sono tutti gli affondi sulle spezie che a tratti si stagliano protagoniste sulla scena del piatto, riscattate dal ruolo di comparse insaporitrici, come nel Gambero rosso ghiacciato, rognone di pecora, sedano e noce moscata, nato durante l’estate, già in piena stagione, con la noce moscata che irrompe con le note inusitate, nuova passione di chef Uliassi che trova in spezie e vegetali infinite possibilità e combinazioni espressive.
Nella successione dei piatti c’è un filo conduttore preciso per cui le persistenze aromatiche non entrano mai in conflitto tra precedente e successivo, ed è così che l’eco della noce moscata si aggancia alla Pasta all’assassina, il carboidrato del Lab. Da qualche anno Uliassi sta conducendo un’operazione di riscatto non solo della pasta secca, ma di tutti i condimenti che caratterizzano il gusto italiano nelle varie cucine regionali, nobilitando non solo la pasta al pomodoro, ma anche un non leggero spaghetto pugliese cotto in oli a temperature altissime. Ecco la leggerezza, il sottrarre peso, indagare la materia prima, in questo caso il fusillo, stracotto per 34 minuti e quindi croccantato sotto la salamandra, condito dalle note piccanti del peperoncino ad accendere le papille senza infiammare, dal pomodoro e dall’erba perilla che dà note verdi di clorofilla.
Agnello ai Carboni, Vaniglia e Ciliegie con Nocciole. Una spezia ingombrante come la vaniglia si accompagna volentieri ai vini rossi e alla selvaggina, ed è così che Uliassi ha voluto usarla per la carne selvatica dell’agnello, perfetta complice delle note di fieno dell’agnello dei Monti Sibillini. I frutti rossi sono metonimia del vino, con le loro note astringenti, per un piatto che è come un mangia e bevi, perfettamente compiuto nell’equilibrio che ancora una volta il vegetale riesce a donare.
L’interruzione aromatica del predessert di Mattia Casabianca arriva con la Granita al limone, a metà tra una merenda al mare e uno sgroppino in trattoria. Tre strati in una coppa Martini: un curd al limone, molto acido, “un sorbetto da pizzeria anni ’70, il così chiamato sgroppino”, una granita Daiquiri a base di limone e rum in perfetto stile Hemingway, per finire con bottom dashi, menta, basilico e grué di cioccolato equadoregno.
Per dessert, l’ultima frequenza che chiude il gioioso disegno del rumore bianco, si pesca nella memoria storica del carrello dei dolci che furoreggiavano nei ristoranti borghesi degli anni 70 e 80. La Saint Honoré riletta da Casabianca con piglio giovane, con i bigné ripieni di liquirizia, e al centro lamponi glacé, a dare freschezza a un dessert dalla foggia classica che va oltre le epoche e che finalmente torna in alto, stagliandosi sul bianco, sintesi dello spettro cromatico e metafora di purezza, che Uliassi sa sempre raccontare ad arte.
Fotografie di Lido Vannucchi